Mi ha sempre affascinato il tema dei viaggi nel tempo. Fin dalla lettura de ‘La macchina del tempo’ (1895) di H.G. Wells, pietra miliare del genere, e dal film di George Pal ‘L’uomo che visse nel futuro’ (1960) con Rod Taylor. Nel romanzo di Wells, la macchina del Viaggiatore viene descritta così da uno dei suoi amici: “Alcune parti erano di nichel, altre d’avorio, altre ancora sembravano ricavate dal cristallo di rocca. La macchina, nei suoi elementi essenziali, doveva essere finita, ma le traslucide sbarre a spirale posate sul banco accanto ad alcuni fogli da disegno erano ancora incomplete. Ne presi in mano una per esaminarla meglio: mi parve fatta di quarzo”. Per molto tempo, nel mio immaginario la macchina del tempo ha assunto le sembianze di quella del film di Pal, dalle fattezze un po’ vittoriane e un po’ hollywoodiane. Fino a quando nel 1985 non è uscito ‘Ritorno al Futuro’ con la sua DeLorean DMC-12. Da adolescente mi sono dedicata alle avventure di Marty e Doc, trascurando per qualche tempo gli Eloi e i Morlock di Wells. Le disavventure del Viaggiatore, catapultato nell’anno 802.701 in un futuro di lotta tribale tra oppressi e oppressori, sono poi tornate a farmi compagnia. Con il passare degli anni, altri libri sul tema mi hanno incuriosito, su tutti ‘La mappa del tempo’ di Félix J. Palma che vede tra i protagonisti proprio H. G. Wells. E infine mi sono appassionata alla serie Netflix ‘Dark’, nella quale i personaggi, viaggiando nel tempo, scoprono loro stessi e i misteriosi legami che hanno con il passato. Sic mundus creatus est!
Rod Taylor guida la macchina del tempo nel film ‘L’uomo che visse nel futuro’ (1960)
Christopher Lloyd e Michael J. Fox con la mitica DeLorean di ‘Ritorno al futuro’
Apparatus, la macchina del tempo della serie ‘Dark’